Per molti dei più o meno giovani autori che si affacciano all'esperienza artistica, o a volte addirittura s'impongono all'attenzione del variegato mondo dell'arte e del mercato, emerge l'impressione di essere spesso alla ricerca di una definizione della loro opera entro i limiti circoscritti di un avvicinamento o di una certificazione rispetto alle maggiori esperienze stilistiche che hanno caratterizzato la storia dell'arte contemporanea.
Questo accade anche quando per certe opere si può riconoscere un percorso di ricerca che pure parte da autonomi ed attendibili presupposti teorici, storici e culturali o quando si tratta di autori con una preparazione accademica corretta, ma, forse, proprio per questo, "inquinata" dai modelli correnti e che finisce, in questi termini, per scomparire inevitabilmente nelle sabbie mobili di un'anonima produzione artistica, nella produzione(nota) (ed il termine non è usato impropriamente se si pensa all'oggetto d'arte come prodotto con caratteristiche ben definite da un mercato) di un manufatto quasi esclusivamente volto alla speculazione intellettuale ed alla commercializzazione dell'opera.
La conseguenza è che, anche quando il linguaggio potrebbe avere importanti potenzialità, questo diventa irrimediabilmente "requisito" da un inquadramento stilistico che piuttosto limita e condiziona, invece di liberare l'autore (come la pratica artistica dovrebbe essere), verso una linea di percorso autonomo e credibilmente originale.
Al di fuori dei pochissimi prestigiosi protagonisti dei più significativi movimenti artistici della seconda metà del Novecento, che di diritto entrano nel novero di una letteratura a carattere storiografico puntuale e giustificata, quel modello di atteggiamento nei confronti dell'esperienza della pratica dell'arte diventa del tutto fuori luogo, almeno per (o nei confronti) di un autore che è seriamente impegnato nella ricerca di un vero e proprio percorso artistico che abbia un senso estetico e filologico, quale elemento caratterizzante dell'espressione della propria sensibilità, della propria poetica, della propria esperienza di vita che genera e nutre l'espressione spirituale che dà forma all'opera.
Così, l'impressione che ho registrato la prima volta che ho avuto, invece, l'occasione di conoscere il complesso dell'opera di Bruno di Pietro, è quella che il suo lavoro non si può assoggettare a nessuno dei numerosi "ismi" che hanno caratterizzato le vicende della storia recente dell'arte contemporanea.
Anzi, direi che non si possa a questi nemmeno tentare di comparare o riferire tanto è autonomo sia il percorso storico della propria pratica artistica che l'atteggiamento mentale e spirituale dal quale questa stessa esperienza prende le mosse.
Di Pietro è del tutto affrancato ed estraneo a questa logica (anche in funzione di un possibile e facile mercato) in virtù della sua autonoma e autentica ricerca di un equilibrio lirico che sia allo stesso tempo lineare ed omogeneo con la sua vicenda d'artista, ma che sia anche significativo in funzione della sperimentazione delle tecniche che affronta del tutto naturalmente e che, coagulando esperienze e sperimentazioni realizzate negli anni, oggi raggiungono e si definiscono significativamente per una maturazione artistica del tutto pregevole, oltreché consapevole.
Il suo percorso nasce secondo un'aspirazione alla pratica dell'arte che guarda alle caratteristiche più tradizionali della pittura: le tecniche e i generi. Un esempio è lo studio della figura e del paesaggio, affrontati attraverso la tecnica dell'olio, che è espressione per antonomasia del binomio pittore - rappresentazione figurativa secondo uno stereotipo piuttosto diffuso nell'immaginario dell'uomo comune rispetto all'esperienza della pratica dell'arte.
E mi piacerebbe pensare che, forse, proprio da questo "stereotipo" nasce l'aspirazione artistica di Di Pietro che vede la figura dell'artista come quella di un bohemienne, come quella del "vagabondo" dell'esperienza della vita che è, però, alla scoperta della conoscenza del mondo e alla ricerca della sua rappresentabilità in un ambito visivo di ordine figurativo. Questa aspirazione, che vuole partire agganciandosi a molti degli elementi della tradizione (uso delle tecniche pittoriche, interesse per la figurazione, ecc.), vuole essere contemporaneamente nutrita, in maniera propositiva e non specificatamente consapevole, anche dalla ricerca dei luoghi d'incontro e dei termini del più valido dibattito artistico del momento.
E' con queste motivazioni che si trasferisce prima a Milano e poi a Parigi per respirare, sia metaforicamente che fisicamente, l'aria dei luoghi del mondo dell'arte, peregrinando per le varie capitali europee per una documentazione intellettuale di esperienze artistiche e culturali che lo portano a confrontarsi con le varie esperienze dell'arte contemporanea in una scuola pratica di vita e d'arte, fino ad iscriversi, per le stesse ragioni, anche all'Accademia di Belle Arti di Brera con una modestia ed un'onestà intellettuale che giustificano, al tempo stesso, i motivi delle sue scelte.
In parte segnato da queste esperienze, in parte non del tutto soddisfatto del più intimo valore delle stesse, in questi anni definisce una prima produzione realizzata attraverso tempere, acquerelli ed olii, come momento in cui l'analisi dell'esperienza sul mondo è realizzata su una personale interpretazione della figurazione anche attraverso la figura: da quella femminile (che viene definita molto essenzialmente e raffinatamente nella sua riformulazione d'ispirazione prettamente accademica), a quella del Cristo e dei Pagliacci, soggetto quest'ultimo spesso troppo rivisitato per tradizione da una pittura "di genere", per il quale, in alcune felici soluzioni, Di Pietro riesce sorprendentemente a coglierne la qualità poco evidente di un'intima religiosità, di dignità dell'alterità della maschera che appartiene ai soggetti sacri o ai primi ritratti di contadini; partendo da quei tratti scavati dei volti, ora, è dai segni del trucco che la "maschera" rivela non tanto se stessa (in quanto volto, o pagliaccio), quanto l'anima del personaggio.
Come un'"anima" sembrano avere la natura morta ed il paesaggio. Pare quasi non esserci differenza fra i tralci d'uva e la laguna veneziana, tanto, entrambi, esprimono armoniosamente un mondo suggestivo ed interiore seppure realizzato, allo stesso tempo, con fare deciso nei toni rarefatti e quasi surreali di una pittura che, attraverso i suoi modi diventa, come in alcuni ritratti, elemento di veicolazione di quella originaria, mistica e ispirata interpretazione della figura umana.
E se a questo punto termina un primo lungo periodo espressivo direi di confronto del tutto rispettoso e amabile con la pittura, che è piuttosto una palestra per una riflessione più compiuta sul valore dell'opera d'arte, ecco che i generi della pittura, ai quali Di Pietro fa riferimento fino alla metà degli anni Ottanta, si trasformano successivamente. Ciò avviene essenzialmente per l'esigenza di sperimentare nuove tematiche e tecniche diverse dalla tradizione, passando dal collage ai materiali dell'arte povera che lo portano ad approdare ai temi dell'epica greca, in particolare all'Iliade.
In un decennio realizza una serie di disegni, incisioni e dipinti che sono indifferentemente appunti, studi e, allo stesso tempo, opere finite e rappresentano la prima grande esperienza di un connubio tra l'autore ed il tema dell'interpretazione della vicenda epica. Da questo momento Di Pietro comincia un percorso decisamente importante che lo conduce verso un equilibrio estetico fatto di una disciplinata e corretta sintesi tra la tecnica rappresentativa e il tema dell'opera, tale da potersi proporre in maniera del tutto autonoma, ma riconoscibile, come lo è in quest'ultima esperienza sull'epopea dell'Iliade.
L'epopea degli eroi e dell'artista: tra mito e leggenda
La recente opera di Bruno Di Pietro risulta così pienamente ispirata dall'epos, da un'epica fortemente intesa e, quindi, interpretata a partire dal suo significato letterale di "narrazione in chiave poetica di imprese eroiche", sembra essere indissolubilmente legata al fascino conseguente della figura e dell'episodio del mito, quasi rapita dall'affabulazione della leggenda.
In questo contesto è possibile affrontare l'analisi dei disegni, dei dipinti e delle sculture sotto diversi aspetti, tutti ugualmente importanti e suggestivi, che offrono utili indicazioni per una loro più completa fruizione e danno interessanti stimoli e spunti di riflessione.
La prima questione riguarda la possibilità di affrontare l'Iliade come un vero e proprio resoconto sotto forma di metafora per raccontare l'esperienza estetica e poetica dell'artista vista ed interpretata effettivamente come racconto di gesta eroiche.
Le imprese memorabili dei protagonisti dell'Iliade, a mano a mano che passano e si dipanano tra i disegni, le opere pittoriche e le sculture, acquistano altri significati narrativi e si trasformano dal resoconto delle gesta degli eroi omerici ad una ancor più impegnativa narrazione, quella dell'acquisizione del valore universale dell'impresa eroica nella condizione, nella vita e nell'esperienza umana dell'artista. Quest'ultimo diventa paladino (altra figura epica medievale, anche leggendaria e mitologica come piace a Di Pietro) dell'avventura poetica che lo porta alla rappresentazione ed all'interpretazione del mondo; una condizione stimolante ed allo stesso tempo impegnativa e "pericolosa", spesso piena di contraddizioni e carica di importanti responsabilità anche morali.
L'artista si fa eroe, cavaliere, in qualità di testimone e rappresentante del suo tempo e, quindi, anche della condizione dell'uomo a lui contemporaneo: "La pittura, così come l’opera scultorea di Di Pietro, sintetizzano egregiamente la condizione dell’uomo odierno intrappolato nel suo presente con tutti i problemi, ma anche le paure e le angosce che lo attanagliano confinando la sua esistenza nell’ambito di una quotidianità vorticosa, avida, vorace. Di Pietro racconta la società odierna attraverso una rappresentazione onirica nella quale i miti dell’Iliade diventano metafore del tempo presente".
La sua opera diventa così la rappresentazione dell'epopea dell'uomo contemporaneo come trasferimento del genere letterario specifico (inteso come il complesso delle narrazioni nella letteratura di un determinato popolo in un dato periodo storico), nelle arti visive. E' anche in questo senso che il racconto dell'Iliade, attraverso la pittura e le sculture, sembra meglio rispondere a quel superamento della definizione di epica secondo la definizione letterale di racconto dell'impresa eroica che, invece, in senso figurato, raggiungendo le qualità del sublime, comporta qualcosa di eccelso che la distingue, quindi, dal racconto delle ordinarie capacità umane e dei più comuni comportamenti.
In Di Pietro l'epos è quasi universalità, tanto che la rilettura del poema di Omero diventa il pretesto e la parafrasi di una condizione eroica che, attraverso la stessa esperienza dell'artista automaticamente e autonomamente si rinnova per farsi a sua volta impegno epico, epopea di una nuova e del tutto personale rappresentazione del mondo che, attraverso gli strumenti dell'arte (pittura o scultura), suggerisce e si trasforma verosimilmente in una nuova dimensione estetica.
Nel linguaggio artistico di Di Pietro, effettivamente, sembra non esistere o non poter coesistere la contrapposizione tra una rappresentazione esclusivamente lirica del poema ed il carattere più freddo della narrazione oggettiva (come anche è l'epica), ma anzi la sua rilettura dell'Iliade ne compendia il linguaggio letterario distinguendolo subliminalmente, per raggiungere quel significato ancora vicino all'epica di epopea di cui si è detto, che è narrazione poetica, in registro stilistico elevato, di imprese epiche, memorabili. In questo registro, è da ricercare la nuova dimensione estetica dell'opera di Di Pietro, fortemente caratterizzata da esclusive rappresentazioni formali delle figure degli eroi, delle battaglie, degli episodi del poema.
Le figure, che ad un primo sguardo non sembrano completamente riconoscibili nelle loro qualità di personaggi, come Achille, Agamennone, Patroclo, ecc., anche se di questi eroi ne portano gli elementi simbolici, sono piuttosto la rappresentazione immaginifica del pathos (anche inteso nel significato etimologico originario dell'emozione estetica espressa o suscitata da un personaggio come nella tragedia greca, o per l'opera d'arte) che deriva a noi comuni mortali e fruitori dal racconto leggendario; sono l'interpretazione soggettiva dell'artista dello spirito della figura mitica e leggendaria che, nelle opere pittoriche, in particolar modo, si fonde e si confonde nelle forme allo stesso tempo contorte ed essenziali, ma potenzialmente riconoscibili, di una estremamente pulita e raffinata sintesi di elementi fisici e di convulsi "cumuli" di corpi e di simboli (l'eroe, il cavallo, la lancia, l'elmo, lo scudo, ecc.).
Se, pertanto, la narrazione oggettiva del fatto, dell'impresa, o la caratterizzazione del personaggio fanno riferimento al poema prendendone spunto dall'evento letterario per librarsi e liberarsi attraverso la visione fantastica dell'artista, questa narrazione è comunque puntualmente presente e correttamente rispettata nell'approccio filologico al poema: a volte i dipinti di Di Pietro sono ritratti di personaggi come Aiace, Ettore a cavallo, Guerrieri con cavallo e armatura, Il guerriero, o ritratti didascalici degli eroi o puntuali letture di brani, versi o scene dell'Iliade come L'ira di Achille, Agamennone in battaglia, Patroclo con le armi di Achille uccide Serpedone, Anime erranti, altre volte, infine, sono vere e proprie sintesi pittoriche di parentesi mitologiche come La leggenda d'Ilio, per finire con il restituirci (in un'interpretazione più fantastica che verosimile), la descrizione pittorica di semplici oggetti, elementi storici della cultura greca come il Vaso Acheo con frutta verde.
La rappresentazione pittorica oltreché "giocare" sull'interpretazione delle forme, si caratterizza per tre elementi considerevoli: il disegno, il colore, la composizione scenografica.
Il disegno, di caratteriste tecniche che somigliano al design, si definisce per un segno impegnativo, ma, allo stesso tempo, di spigliata linearità che, però, non rimane mai orfano di un tratteggio eseguito secondo i canoni della più importante tradizione accademica: è lo stesso impegno stilistico ed il medesimo valore tecnico che si può riscontrare nelle incisioni che trattano alla stessa maniera i temi e i personaggi dell'Iliade.
Questo segno è la struttura, l'impalcatura delle opere pittoriche che vengono valorizzate dalla sapiente scelta del colore. Qui i colori sono caldi e soffusi tanto da essere un veicolo per il coinvolgimento dell'attenzione dello spettatore e richiamano, in una sorta di archetipo antropologico, i colori dell'antica Grecia, quelli che, presumibilmente, dovevano essere nelle decorazioni delle metope dei templi.
Infine, segno e colore, si fanno interpreti di una soluzione scenografica d'insieme quale complesso espressivo dell'opera. Se la scenografia è l'applicazione artistica e tecnica per realizzare il complesso, l'allestimento scenico, l'ambiente di un'opera teatrale, nella pittura di Di Pietro lo spazio del foglio o della tela diventano la prospettiva architettonica, appunto scenografica, degli ambienti dell'epopea omerica, lo studio di posa per la rappresentazione dei personaggi; ma i ritratti, le scene di battaglia, nella loro composizione formale, nel perimetro dell'opera dipinta, sono a loro volta una rappresentazione scenografica inedita ed efficace tale da conchiudere il senso dell'opera.
Il risultato, però, più pieno e artisticamente di valore compiuto sono le più recenti sculture che, solide di una raffinatezza tecnica esemplare, sembrano avere la qualità di una propria grandezza epica in cui la narrazione poetica, in chiave figurativa, delle imprese degli eroi, di elevato registro e valore estetico, raggiunge l'equilibrio della vera opera d'arte. L'accostamento di marmo sapientemente levigato ed elementi metallici come l'ottone dà, per risultato, una forma scultorea di originalissime "sagome" rappresentative degli eroi, dei protagonisti o anche solo degli elementi di cornice dell'epopea omerica come i cavalli o le armature. Queste sculture sono il risultato di una complessa ed articolata ricerca che prende le mosse dalla realizzazione di quelle che Di Pietro stesso definisce scultopitture, opere essenzialmente realizzate con elementi metallici di recupero in cui è forte la caratterizzazione, la compenetrazione e la meticizzazione tra la pittura e la scultura.
Sono soggetti senza forma oggettiva, eroi androgini e antropomorfi quasi esclusivamente riconoscibili per quegli elementi distintivi esclusivi dei personaggi (l'elmo, la lancia, lo scudo, la spada, ecc.) che sono la caratteristica didascalica della "forgiatura" poetica dell'opera nel nuovo contesto della tecnica utilizzata.
Aspetti di una valenza pedagogica a carattere estetico dell'epica nell'Iliade di Bruno Di Pietro
Vorrei infine affrontare un altro argomento della rilettura del poema di Omero realizzata da Di Pietro, nel tentativo di "suggerire", o ritrovare, un aspetto della modernità del poema. Questo, non tanto in chiave letteraria (allo scopo mi sembra piuttosto concreto e originale il contributo dato in questo volume da Franca Minniti), quanto per quel risvolto, del tutto particolare, in cui si può individuare un valore didattico e didascalico per un'interpretazione pedagogica dell'opera d'arte che travalica il carattere artistico fine a se stesso, per offrire, invece, nell’occasione dell'esperienza letteraria, un veicolo di avvicinamento ai modi dell'arte contemporanea.
In questo contesto sono almeno due i valori che si possono riconoscere al nostro tentativo di analisi: il primo che considera i termini estetici dell'opera come rivalutazione del concetto di bellezza; il secondo che, rispetto a questo recupero, investe il pubblico, il fruitore dell'opera, di un'idea di ri-educazione all'arte come conoscenza antropologica della propria cultura visiva per una riappropriazione di una più vasta e comune cultura figurativa.
Stefano Zecchi, in un suo recente saggio, fa riferimento a quel concetto di bellezza dato dalle forme classiche di rappresentazione artistica che appartengono alla cultura occidentale ed europea, intesa anche come rifiuto dei nuovi (oramai desueti) linguaggi di massa, che sono tra l'altro confluiti anche nell'arte, per ridare, invece, corpo e dignità all'espressione artistica attraverso la forma, anche come valore rappresentativo della conoscenza.
L'opera di Di Pietro è riconoscibile di un valore estetico in questo senso, proprio in virtù di una ripresa esemplare e leggibile di questo dichiarato e richiamato classicismo che traspare nella fattura e nei modi della sua pratica artistica, che viene, tra l'altro, sostenuto e confortato dal valore della storia stessa dell'artista che, come si diceva in apertura, è da sempre affrancato dal più greve conformismo dell'arte contemporanea.
Inoltre, questa rilettura dell'Iliade si caratterizza anche per una messa in pratica di quel valore conoscitivo, secondo il significato etimologico del termine estetica (aisthesis) da intendere per la sua valenza primitiva di conoscenza sensibile del mondo e delle cose, che, nel contesto dell'opera di Di Pietro, offre la possibilità di essere realizzato proprio attraverso il senso della vista nella percezione delle forme e dei modelli relativi al classico. In questa analogia è da leggersi la valenza pedagogica dell'opera presente in questa mostra, chiaramente realizzata nell'approccio alla cultura del mondo occidentale per mezzo di un'esperienza artistica individuata, pertanto, in maniera didascalica, con l'epopea di Omero, un'opera del mondo classico che si offre anche naturalmente a questa esperienza.
L'opera pittorica e scultorea realizzata da Di Pietro rielabora efficacemente la radice culturale europea, come origine comune di un variegato percorso storico, nella reiterazione del valore della cultura classica. Anche in questo senso, viene realizzata la possibilità di una rivalutazione del mondo antico anche nei valori della contemporaneità per mezzo di un'estetica che, rimanendo agganciata alla fruizione sensibile delle cose ed al concetto classico e tradizionale di bellezza, ne attualizza la rappresentazione attraverso l'espressione formale più riconoscibile dell'arte secondo la rivalutazione e la rielaborazione dell'antico.
In questo senso l'opera di Di Pietro attualizza il pronosticato tentativo di cui parla Stefano Zecchi nella corrispondenza di un'organizzazione stilistica aggiornata ed attuale, quindi contemporanea, di questo modello di bello ideale che trova i modi e lo spazio necessari in virtù di un'adeguata organizzazione didascalica e didattica tradotta in un linguaggio visivo comune a tutti una volta interpretato per tutti dall'artista fino a contribuire ad assolvere, tra gli altri, anche a quel più attuale intento della pedagogia contemporanea che vuole essere spesa per un'educazione più generale dell'individuo secondo il concetto che è l'educazione permanente dell'adulto.
E' in questo, direi quasi esemplare, intervento dell'artista che si può anche riconoscere la capacità di convertire l'esperienza estetica del mondo nell'opera d'arte, nel modo con il quale Di Pietro riesce a leggere, nel suo caleidoscopio privilegiato, il senso compiuto di una riflessione e di una visione del mondo e sul mondo nei termini della sua riproduzione e rappresentazione dell'epos dell'Iliade e a restituire all'uomo comune, anche in virtù del corretto uso delle regole e delle tecniche classiche ed accademiche della pratica dell'arte (il disegno, la pittura, la scultura statuaria), il valore della comune avventura umana, chiarendo a se stesso e agli altri (come mi è capitato di verificare ultimamente anche in altre situazioni) il senso della comune contemporaneità.